Il regime dei beni demaniali e di quelli patrimoniali indisponibili, laddove ne è sancita l'inusucapibilità, l'inalienabilità e l'inespropriabilità, pone l'accento sul carattere pubblico dei beni non tanto in dipendenza della loro titolarità, quanto per la natura dei poteri ad essi attinenti per i fini della realizzazione del pubblico interesse: sicché si discorre di proprietà-funzione, riguardo alla quale, lungi dal prevalere il profilo dell'assolutezza del diritto, emerge semmai la doverosità della gestione mirata al soddisfacimento dell'interesse menzionato.
In relazione al canone concessorio non ricognitorio di cui all'art. 27, commi 7 ed 8, del d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285 (Nuovo Codice della Strada), è possibile per l'amministrazione comunale pretendere un canone di concessione per l'uso o l'occupazione delle strade, anche nell'ipotesi in cui per la stessa occupazione sia già corrisposta la Tosap o la Cosap.
In caso di opera abusiva acquisita al patrimonio del Comune per mancata demolizione, è l'accertamento della vocazione dell'immobile acquisito al soddisfacimento di finalità pubbliche da parte del consiglio comunale che ne consente l'inclusione nel patrimonio indisponibile dell'ente. Diversamente, in assenza di una deliberazione in tale senso, quale potrebbe essere la destinazione ad un pubblico servizio, il bene rientra nella categoria dei beni patrimoniali disponibili.
Ai sensi dell'art. 28, comma 1, del d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, in assenza di uno strumento urbanistico in vigore, le distanze che i privati frontisti devono comunque rispettare, nei centri abitati, non possono comunque essere inferiori a 30 mt. per le strade di tipo A; 20 mt. per le strade di tipo D ed E; 10 mt. per le strade di tipo F. In nessun caso, dunque, è possibile realizzare costruzioni proprio sul confine della strada, in violazione dei limiti di rispetto.
Nell'ambito di un Piano regolatore delle aree e dei nuclei industriali, la convenzione di assegnazione suoli, avente natura di provvedimento concessorio: nel caso in cui l'assegnazione consegua ad una espropriazione, trasferisce in capo al concessionario i poteri e le facoltà dell'amministrazione “proprietaria”, nei limiti dell'interesse pubblico perseguito; nel caso in cui l'assegnazione avvenga in favore del medesimo soggetto proprietario del suolo, la convenzione ha un duplice contenuto; per un verso, costituisce contratto di costituzione di servitù pubblica sui suoli considerati; per altro verso, regola gli aspetti patrimoniali di una concessione traslativa con la quale la Pubblica Amministrazione attribuisce (tra l'altro) i propri poteri e facoltà sul bene, inerenti al diritto reale del quale essa è titolare. In ambedue le ipotesi, ed in applicazione dell'art. 1376 c.c., alla convenzione deve essere riconosciuta la natura di contratto con effetti reali, di modo che, laddove “sia già avvenuto il trasferimento del diritto”, non opera la sospensione dell'esecuzione del contratto per effetto del sequestro, di cui all'art. 56 d. lgs. n. 191/2011.
È del tutto inappropriato sostenere che la concessione per occupazione di un'area pubblica inglobi in sé il permesso di costruire, trattandosi di generi di provvedimenti assolutamente differenti e finalizzati l'uno all'uso degli spazi pubblici e l'altro al governo del territorio, inteso come conformità di una costruzione erigenda alle norme del piano urbanistico.
Il fatto dell'abuso è in sé e non per la destinazione che si vuol imprimere al manufatto stesso, cosicché è irrilevante conoscere se un chiosco sia adoperato, o meno, per l'attività di somministrazione di alimenti e bevande.
La rivendicazione di un uso riservato, nelle ore di chiusura degli esercizi commerciali, delle opere di urbanizzazione risulta smentita sia nella logica dominicale (che esclude la proprietà private delle aree), sia da quella funzionale (che preclude la sottrazione all'uso generale delle opere di urbanizzazione, tanto più nei casi in cui le stesse risultano realizzate a soddisfazione dei necessari standard urbanistici). Gli spazi a parcheggio concretanti opere di urbanizzazione vanno ritenuti per definizione “pubblici” o, appunto, “comuni”, palesandosi abusiva ed illecita la pretesa di una fruizione riservata e limitata.
Posto che l'interruzione dell'usucapione può aversi solo con la perdita ultrannuale del possesso ovvero con la proposizione di apposita domanda giudiziale e che, sino all'entrata in vigore del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, "risultava radicalmente preclusa, da parte del destinatario dell'occupazione preordinata all'esproprio, l'azione di restitutio in integrum, qualificando l'occupazione acquisitiva più che un mero fatto illecito, una vera e propria "fattispecie ablatoria seppur atipica", allora a tutto concedere (alla stregua dell'art. 2935 c.c. - secondo cui la prescrizione decorre "dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere") il dies a quo di un possibile possesso utile a fini di usucapione non potrebbe che individuarsi a partire dall'entrata in vigore del d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, (l'art. 43 ivi contenuto, come è noto, aveva sancito il superamento normativo dell'istituto dell'occupazione acquisitiva).
Costituisce preciso onere del privato che ha commesso l'abuso edilizio provare, in sede di istanza di sanatoria, così come in sede di impugnazione giurisdizionale, che all'epoca della costruzione il fabbricato non ricadeva entro la fascia di inedificabilità di 150 metri dal demanio marittimo.
Il subingresso nella concessione demaniale marittima è un istituto sui generis contemporaneamente diverso dal rilascio della concessione (artt. 36 e ss. Cod. nav.), ma anche della mera autorizzazione. Si tratta infatti della sostituzione di un soggetto nell'ambito di un rapporto concessorio preesistente (del quale permangono le condizioni e scadenze) e dunque di una novazione soggettiva, che necessariamente partecipa della natura della concessione demaniale, configurando una sorta di fenomeno derivato, rispetto al quale non opera il silenzio assenso, occorrendo invece un provvedimento espresso.
La controversia introdotta da un utente del servizio pubblico di acquedotto, il quale non deduca in giudizio il suo rapporto di utenza con il Comune ma contesti l'organizzazione del servizio sotto vari profili e censuri un aumento tariffario, va riservata al giudice amministrativo. Infatti, una tale domanda non censura "incidenter tantum" il provvedimento amministrativo, chiedendone la disapplicazione ai fini della tutela del diritto soggettivo al pagamento di un canone contrattualmente stabilito ma investe invia principale le scelte discrezionali dell'ente, in ordine alla determinazione del canone, e contesta l'organizzazione del servizio, facendo valere una situazione giuridica qualificabile come interesse legittimo correlato ad un atto adottato dall'ente territoriale come autorità nell'esercizio di una potestà amministrativa, al di fuori di un rapporto negoziale di tipo paritetico.
Gli atti con cui viene disposta la classificazione delle strade e vengono compilati i relativi elenchi non sono assoggettati a notifica individuale, producendo effetti nella sfera giuridica di un novero indeterminabile di soggetti e certamente non coincidente con le sole persone dei proprietari di diritti reali sulle porzioni di terreno e sui fabbricati prospicienti le strade medesime.
La situazione di inedificabilità prodotta dal vincolo cimiteriale è suscettibile di venire rimossa solo in ipotesi eccezionali e comunque solo per considerazioni di interesse pubblico, in presenza delle condizioni specificate nell'art. 338, quinto comma, del R.d. n. 1256 del 1934, essendo norma eccezionale e di stretta interpretazione non posta a presidio di interessi privati; con la conseguenza che la procedura di riduzione della fascia inedificabile resta attivabile nel solo interesse pubblico, come valutato dal legislatore nell'elencazione delle opere ammissibili.
Gli impianti sportivi appartengono al patrimonio indisponibile dell'ente pubblico, ai sensi dell'art. 826, comma 3 del codice civile, essendo destinati al soddisfacimento dell'interesse proprio dell'intera collettività allo svolgimento delle attività sportive che in esso hanno luogo.
L'indicazione della strada nell'elenco delle strade comunali non è sufficiente al fine di accertarne la natura pubblica, atteso che tali elenchi hanno natura dichiarativa e non costitutiva.
In caso di rinnovo della concessione demaniale marittima, decorso il termine di durata e scaduta l'originaria concessione, si verifica ipso iure, ai sensi dell'art. 49 del cod. nav., la devoluzione a favore dello Stato: ossia, sebbene la concessione sia stata rinnovata, le opere non agevolmente rimuovibili realizzate dal concessionario nel periodo d'efficacia della concessione scaduta - fatta poi oggetto di rinnovo - sono acquisite con effetto legale automatico al demanio statale.
Nell'art. 1, comma 1, D.L. 5 ottobre 1993, n. 400, come modificato dall'art. 1, commi 251-2 della L. 27 dicembre 2006, n. 296, neall'art. 36 Cod. nav., nell'art.27, c. 6, D.lgs. 18 luglio 2005, n. 171 e negli artt. 3 e 4 D.P.R. 2 dicembre 1997, n. 509 non si ravvisa alcuna ipotesi o possibilità di deroga al principio del confronto concorrenziale ai fini del rilascio delle concessioni demaniali per la realizzazione di strutture dedicate alla nautica da diporto, principio del resto definitivamente consacrato nell'art. 12 della direttiva 2006/123/CE.
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